venerdì 21 maggio 2010

Guccio Gucci


Gucci nasce come azienda specializzata in pelletterie artigianali. Il fondatore è Guccio Gucci che acquista uno spiccato senso del gusto e dello stile lavorando in alberghi rinomati di alcune importanti capitali europee. Tornato a Firenze, comincia ad aprire, a poco a poco, una serie di piccoli negozi che producono pelletterie comuni, ma anche articoli da viaggio e per l’equitazione. I marchi della casa faranno sempre riferimento all’ambito equestre: il morsetto e la staffa prima, un nastro verde-rosso-verde ispirato dal sotto-pancia della sella poi.

La fama di Gucci si espande presto, e nel 1938 apre una boutique a Roma, in via Condotti. È la fantasia di Gucci che permette alla sua azienda di sopravvivere al periodo autarchico utilizzando materiali come lino, canapa, juta e bambù, meno costosi del pellame. Nel 1945 la Gucci diventa una s.r.l. e comincia ad esportare negli Stati Uniti, dopo essersi affermata in Europa.

Ad uno ad uno nascono e si sviluppano meglio i "capisaldi" del marchio: la prima borsa con il manico di bambù nel 1947, il mocassino con il morsetto intorno al 1952-1953, il foulard Flora nel 1966, creato da Rodolfo Gucci e Vittorio Accornero de Testa per Grace Kelly. Nasce il logo GG, dalle iniziali del fondatore, usato per ornare la GG canvas, una canapa nota per l'estrema resistenza e usata per la produzione di borse, cinture e altri accessori. Audrey Hepburn, Jackie Kennedy, Maria Callas, la duchessa di Windsor, scelgono articoli Gucci.

Dagli anni sessanta in poi, Gucci apre boutique anche in Asia, con quelle di Tokyo e di Hong Kong. Nel 1982 l’azienda diventa una società per azioni. Nel 1990 Tom Ford diventa responsabile del settore abbigliamento donna, nel 1994 viene nominato responsabile creativo dell’intera produzione e rilancia la griffe sull'orlo della bancarotta. Nel 1999 la maison rileva l'etichetta Yves Saint Lauren creata dall'omonimo stilista che poi chiuderà nel 2002. Nel 2007 la stilista Frida Giannini dirige la casa di moda.

Da molti anni la proprietà della casa di moda non è più italiana ma del gruppo francese PPR, che opera nel settore del lusso ed è il principale concorrente della LVMH, anch'essa francese.

domenica 2 maggio 2010

PubMed

Ecco qui il post relativo all'Assignment n°6, quello riguardante PubMed.
La ricerca che ho voluto fare riguarda la lobotomia. Non che ci sia un motivo particolare, ma molte volte mi è capitato di parlare con amici e di dire "quello/a lì avrebbe bisogno di una lobotomia", "ma che ti hanno fatto una lobotomia?" oppure "lobotomizzati il cervello!", senza nemmeno sapere di cosa si trattasse!
Tra tutti i risultati ottenuti, quello che mi ha colpito di più si intitola così: "The painless brain: lobotomy, psychiatry, and the treatment of chronic pain and terminal illness".
L'articolo dice che la lobotomia è un trattamento per "dolore intrattabile cronico" (non so se la traduzione sia giusta!) e la successiva ricostruzione della percezione del dolore nel paziente.
Secondo l'autore le aspettative riguardo questo intervento delineano una convergenza tra la terapia psichiatrica e gli interventi palliativi. Oltretutto, egli trova un'interfaccia tra il dolore cronico, la depressione e le malattie terminali.
L'autore nel brano mette in discussione l'uso dei criteri sociali e dei giudizi normativi nella decisione clinica di come trattare il dolore.
In effetti, pensandoci bene, arrivare a "recidere le connessioni della corteccia prefrontale dell'encefalo, arrivando all distruzione o all'asportazione diretta di esse", mi sembra alquanto eccessivo, anche nei casi di dolore cronico. Considerando poi che tra gli effetti collaterali si poteva arrivare ad un cambiamento radicale della personalità.
La lobotomia era usata in passato per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche come la schizofrenia, la depressione, la psicosi maniaco-depressiva o disturbi derivati dall'ansia.
Fortunatamente, venne abbandonata quasi completamente all'inizio degli anni settanta, nonostante alcuni paesi abbiano continuato ad applicarla su scala drasticamente ridotta anche negli anni ottanta.
Direi che dopo questa ricerca, comincerò ad usare con meno facilità la frase "ma ti sei lobotomizzato il cervello?"!